Di seguito si rendono noti gli strumenti riconosciuti dalla legge, in favore dei soggetti interessati, in un procedimento amministrativo e nei confronti del provvedimento finale ovvero nei casi di adozione del provvedimento oltre il termine predeterminato per la sua conclusione e i modi per attivarli.

Gli strumenti di tutela amministrativa e giurisdizionale, riconosciuti dalla legge in favore dell'interessato, nel corso del procedimento, nei confronti del provvedimento finale ovvero nei casi di adozione del provvedimento oltre il termine predeterminato per la sua conclusione e i modi per attivarli, sono i seguenti:

  1. Esercizio del potere sostitutivo in caso di inerzia
  2. Difensore civico comunale e Difensore civico regionale
  3. Atto di diffida e messa in mora, con eventuale risarcimento del danno
  4. Ricorsi in materia Anagrafica
  5. Ricorsi in materia di Stato Civile
  6. Ricorsi in materia di liste elettorali (elettorato attivo)
  7. Ricorso amministrativo e ricorso amministrativo giurisdizionale

Esercizio del potere sostitutivo in caso di inerzia

La nuova disciplina sul procedimento amministrativo ha rafforzato le garanzie dei privati contro l'eventuale ritardo dell'Amministrazione nei procedimenti che li vedono interessati, prevedendo l'esercizio del potere sostitutivo in caso di inerzia del funzionario responsabile (art.9bis, L. n.241/1990).

Lo statuto comunale agli artt.. 64, c.4, lett.I) e 65, prevede che il potere sostitutivo sia esercitato dal segretario generale nei confronti dei dirigenti, mentre i dirigenti lo esercitano nei confronti dei responsabili dei procediementi, in base ad un'espressa disposizione contenuta in tutti i provvedimenti di delega di funzioni in favore delle posizioni organizzative.

Per quanto riguarda i Servizi Demografici, l'elercizio del potere sostitutivo è in carico al dirigente del settore 1°.

Il privato può inoltre ricorrere al titolare del potere sostitutivo anche nei casi di ritardo o mancata risposta alla richiesta di accesso civico di cui all’art. 5 c. 4 del D.Lgs. n. 33/2013 sulla trasparenza amministrativa.
Le richieste di intervento sostitutivo possono essere inoltrate, utilizzando il modello disponibile in allegato:

  • all’indirizzo di posta certificata: comunemirandola@cert.comune.mirandola.mo.it
  • all’indirizzo di posta elettronica:  info@comune.mirandola.mo.it
  • Fax: 053529538
  • a mezzo posta all’indirizzo: Comune di Mirandola, via giolitti n.22, 41037 Mirandola
  • direttamente all’Ufficio Protocollo del Comune di Mirandola, in via Giolitti n.22, negli orari di apertura dell'Ufficio

Difensore civico

Ha il compito di proteggere i tuoi diritti nei confronti di un’Amministrazione Pubblica, un ente o un soggetto, anche privato, che svolge una funzione pubblica o di pubblico interesse (come i gestori di acqua, luce e gas) operante nel territorio della regione Emilia-Romagna.

Il suo ruolo è molto importante: garantisce efficienza e trasparenza nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Il Difensore civico è una figura autonoma ed indipendente, non è un politico né un magistrato.

E’ scelto tra esperti esterni alla Pubblica Amministrazione e ha la funzione di prevenire, sanare o mediare i conflitti tra amministrazione e cittadini.

Il servizio offerto dal Difensore civico è gratuito e rivolto a tutti, senza distinzioni di età, cittadinanza o altro.

Il Difensore civico comunale

La funzione principale del difensore civico è di essere garante dell’imparzialità e del buon andamento del Comune.

Può intervenire, su richiesta di un cittadino o di propria iniziativa, per la tutela di tutti i cittadini, italiani o stranieri, che lamentino abusi, disfunzioni, carenze, ritardi o irregolarità compiute da organi, uffici o servizi dell’Amministrazione.

La sua competenza è estesa alle aziende speciali, alle istituzioni per la gestione dei servizi sociali, educativi e scolastici, ai concessionari di servizi pubblici, alle società controllate.

Una volta ricevuta la denuncia del disservizio, ha il potere e il dovere di chiedere chiarimenti, notizie e documenti ai funzionari responsabili che, a loro volta, hanno l’obbligo di rispondere entro trenta giorni.

Al termine del procedimento, il difensore può rilasciare un parere al cittadino e segnala al sindaco e al segretario generale le disfunzioni, gli abusi e le carenze eventualmente riscontrate.

Il Comune di Mirandola ha aderito alla convenzione proposta dalla Provincia per l’utilizzo del difensore civico territoriale, condividendo il servizio con gli altri Comuni modenesi.

Difensore Civico: avvocato Patrizia Roli, nominata dalla Provincia.

Difensore civico regionale

La legge regionale che lo istituisce (n.25/2003) prevede che il Difensore civico intervenga su richiesta di “singoli interessati, enti, associazioni e formazioni sociali”. Puoi quindi chiedere il suo intervento se sei un privato cittadino ma anche se, ad esempio, hai un’azienda industriale, artigianale, agricola o commerciale, se sei un lavoratore autonomo o un’associazione.

Puoi rivolgerti al Difensore civico della Regione Emilia-Romagna anche se non sei residente sul territorio regionale purchè vi abbia sede la PA o il gestore di servizi pubblici che ritieni non abbia operato in modo corretto.

Rivolgersi al Difensore civico è molto facile, non servono particolari formalità o pratiche burocratiche.

Il Difensore civico può intervenire in relazione ad atti o comportamenti ritardati, omessi o irregolarmente compiuti da:

  • Regione Emilia-Romagna ed enti, istituti, consorzi, agenzie e aziende da essa dipendenti o sottoposti a vigilanza o a controllo regionale;
  • Aziende Unità sanitarie locali e ospedaliere; Province e Comuni della regione in forma singola o associata;
  • uffici dello Stato e concessionari o gestori di servizi pubblici operanti nel territorio regionale (Enel, AIMAG, Hera, ecc).

 Richiedere l’intervento del Difensore civico è semplice. Puoi:

  • scrivere una lettera a: Difensore civico della Regione Emilia-Romagna - Viale Aldo Moro, 50 – 40127 Bologna;
  • compilare il semplice form che si trova sul sito del Difensore civico all’indirizzo: ww.assemblea.emr.it/garanti -> Difensore civico
  • telefonare al numero 051.527.6382;
  • telefonare al numero verde gratuito anche da rete mobile 800 515 505;
  • inviare un fax al numero 051.527.5461;
  • inviare una email a: difensorecivico@regione.emilia-romagna.it
  • inviare una email alla casella di posta elettronica

Atto di diffida e messa in mora, con eventuale risarcimento del danno

La legge tutela il cittadino consentendogli di agire in giudizio contro l’amministrazione inadempiente. e contro l’amministrazione nei casi in cui si configura il cosiddetto silenzio inadempimento.

La legge stigmatizza un simile comportamento della pubblica amministrazione e prevede dei meccanismi processuali rapidi e puntuali a difesa del cittadino.

Il cittadino, dopo l’infruttuosa scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, deve notificare a mezzo ufficiale giudiziario apposito atto di diffida e messa in mora, concedendo un termine non inferiore a trenta giorni affinché l’amministrazione provveda, per poi impugnare il silenzio davanti al giudice amministrativo, nel termine di sessanta giorni a decorrere dallo scadere del termine assegnato con la diffida. In materia, però è previsto che il ricorso al T.A.R. può essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento.

I poteri del T.A.R. in materia di silenzio inadempimento

La Legge n. 15/2005 ha introdotto una importante novità in materia di poteri del giudice amministrativo, stabilendo che questo possa conoscere della fondatezza dell’istanza. Questo vuol dire, in sostanza, che il T.A.R., in un ricorso avverso il silenzio inadempimento della pubblica amministrazione, non solo può intimare alla stessa di provvedere, ma può pronunciarsi sull’istanza decidendola nel merito. Questo però può avvenire solo in casi particolari, ossia nei casi di attività “vincolata” della pubblica amministrazione.

Si tratta di tutti quei casi in cui l’amministrazione decide applicando meccanicamente le leggi al di fuori dalla propria discrezionalità amministrativa.

I ricorsi avverso il silenzio dell’amministrazione sono decisi in camera di consiglio, con sentenza succintamente motivata, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne facciano richiesta. La decisione è appellabile entro trenta giorni dalla notificazione o, in mancanza, entro novanta giorni dalla comunicazione della pubblicazione.

Nel giudizio d’appello si seguono le stesse regole.
In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il giudice amministrativo ordina all’amministrazione di provvedere di norma entro un termine non superiore a trenta giorni.

Qualora l’amministrazione resti inadempiente oltre il detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta di parte, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa.

Il risarcimento del danno da ritardo

La Legge n. 241/1990 prevede che le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. Esiste, cioè, la risarcibilità del danno da ritardo.

L’azione risarcitoria deve essere esercitata dinanzi al giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive (ossia può essere fatto valere) in cinque anni.

Bisogna però distinguere tre ipotesi che possono verificarsi a seguito dell’istanza del privato, finalizzata ad ottenere un provvedimento a sé favorevole.

  1. Ritardo di un provvedimento favorevole: La prima ipotesi è che la pubblica amministrazione, seppur non emettendo l’atto nei termini di conclusione del procedimento, accolga l’istanza del privato con un provvedimento tardivo favorevole. In questo caso, non essendoci interesse del privato ad impugnare l’atto, è possibile ipotizzare un danno solo per il ritardo rispetto al termine conclusivo del procedimento, essendo l’emissione del provvedimento favorevole al privato già di per sé espressiva della fondatezza della iniziale istanza del privato.
  2. Ritardo di un provvedimento sfavorevole: La seconda ipotesi è che l’ente pubblico emetta un provvedimento tardivo sfavorevole; un provvedimento, cioè, negativo rispetto all’istanza del privato. In questo caso, essendo negato il “bene della vita” oggetto dell’istanza del privato, non può ipotizzarsi un danno da ritardo. Sarà onere del privato impugnare l’atto sfavorevole e solo ad esito positivo del giudizio di annullamento, cioè quando il giudice avrà riconosciuto la fondatezza dell’originaria istanza del privato, potrà essere richiesto il risarcimento del danno da ritardo.
  3. Silenzio dell’amministrazione: La terza ipotesi è che la pubblica amministrazione non emetta alcun provvedimento. In questo caso l’interessato dovrà ottenere dal giudice amministrativo il riconoscimento dell’illegittimità del silenzio dell’ente, cui dovrà fare seguito un provvedimento espresso dell’ente di carattere favorevole o meno. A questo punto ci si ritroverà in una delle situazioni descritte nei due punti precedenti.

Cosa deve fare il privato per ottenere il risarcimento del danno da ritardo

Il privato dovrà provare:

  • l’esistenza del danno ed il suo ammontare;
  • l’assenza di ragioni che possano in qualche modo giustificare la PA (ad esempio l’esistenza di un normativa particolarmente complessa che possa dar luogo ad errore scusabile);
  • l’imputabilità della responsabilità a titolo di colpa grave o dolo dell’ente.

Il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo

Quando il giudice accerta l’illegittimità di un provvedimento che abbia sottratto al privato un valore appartenente al suo patrimonio, bisogna consentire all’interessato, titolare di un interesse oppositivo, di recuperare il diritto perduto sul bene e il risarcimento del danno subito a causa della mancata disponibilità della cosa.

Allo stesso modo, il privato titolare di un interesse a conseguire un bene della vita cui poteva legittimamente aspirare, leso dal provvedimento negativo dell’Amministrazione, tramite il processo amministrativo può perseguire due scopi: acquisire l’effetto vantaggioso illegittimamente negato ed essere risarcito degli ulteriori danni che siano derivati dal provvedimento negativo.

La legge assicura la realizzazione del diritto al risarcimento prevedendo, inoltre, che il risarcimento possa avvenire nelle due forme alternative della reintegrazione in forma specifica (es.: la restituzione del bene) e dell’attribuzione dell’equivalente monetario (somma di denaro).

Qual è il giudice competente in materia di risarcimento del danno

In generale è competente il giudice amministrativo sia quando il privato invochi la tutela di annullamento sia quando faccia valere la tutela risarcitoria. I giudici hanno anche precisato che il giudice ordinario, investito di una domanda risarcitoria di danno prodotto da un provvedimento amministrativo che si assume illegittimo non deve subordinare la propria pronuncia all’avvenuto annullamento dell’atto da parte del giudice amministrativo, ma può conoscere dell’illegittimità dell’atto ai fini della valutazione dell’ingiustizia del danno.

Ricorsi in materia anagrafica

Contro i provvedimenti dell'Ufficiale d'Anagrafe è possibile il ricorso al Prefetto.

Nei confronti del Il provvedimento di rifiuto dell'Ufficiale d'Anagrafe, per richieste di cambio di abitazione, rilascio di certificati, e quant'altro riguarda l'Anagrafe della Popolazione Residente, è possibile il ricorso gerarchico al Prefetto

Spetterà al Prefetto, una volta compiuti i necessari accertamenti, decidere se respingere il ricorso o accoglierlo annullando o riformando l'atto impugnato. Contro il provvedimento del Prefetto è ammesso ricorso al giudice ordinario nei modi e tempi con le modalità indicate dal codice di procedura civile.

In alternativa al ricorso al Prefetto è ammesso ricorso al TAR di Bologna  nei termini e modi di cui alla Legge 6 dicembre 1971 n. 1034 e successive modifiche oppure, qualora si ritenga leso in un diritto soggettivo, al Tribunale di Modena nei termini e modi di cui al codice di procedura civile.

Ricorsi in materia di stato civile

Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell'ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l'ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l'atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l'adempimento.

Il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di cui al comma 1.

Il tribunale può, senza particolari formalità, assumere informazioni, acquisire documenti e disporre l'audizione dell'ufficiale dello stato civile.

Il tribunale, prima di provvedere, deve sentire il procuratore della Repubblica e gli interessati e richiedere, se del caso, il parere del giudice tutelare.

Sulla domanda il tribunale provvede in camera di consiglio con decreto motivato.

Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile nonché, per quanto riguarda i soggetti cui non può essere opposto il decreto di rettificazione, l’articolo 455 del codice civile.

L'ufficiale dello stato civile, d'ufficio o su istanza di chiunque ne abbia interesse, corregge gli errori materiali di scrittura in cui egli sia incorso nella redazione degli atti mediante annotazione dandone contestualmente avviso al prefetto, al procuratore della Repubblica del luogo dove è stato registrato l'atto nonché agli interessati.

Avverso la correzione, il procuratore della Repubblica o chiunque ne abbia interesse può proporre, entro trenta giorni dal ricevimento dell'avviso, opposizione mediante ricorso al tribunale che decide in camera di consiglio con decreto motivato che ha efficacia immediata.

Ricorsi in materia di liste elettorali

Il ricorso alla Corte d'appello - Oggetto del ricorso

I rimedi giurisdizionali posti a tutela dell'elettorato attivo sono dati dai ricorsi che qualsiasi cittadino può produrre davanti alla Corte d'appello e dal successivo ricorso per cassazione concesso alla parte soccombente, previsti dal d.P.R. n.223/1967.

A norma dell'art. 42, sono soggetti ad impugnativa dinanzi alla Corte d'appello:

a) le decisioni della commissione elettorale mandamentale o delle sue sottocommissioni emesse in sede di revisione semestrale delle liste. Oggetto del ricorso è, quindi, ogni provvedimento con cui le predette commissioni abbiano comunque deliberato la iscrizione o la cancellazione di un cittadino dalle liste, ne abbiano rifiutato la iscrizione o la cancellazione o ne abbiano rigettato il reclamo;

b) le decisioni della commissione elettorale mandamentale o delle sue sottocommissioni emesse in sede di revisione dinamica, sia su ricorso avverso le deliberazioni della commissione elettorale comunale, sia d'ufficio nell'esercizio del potere di controllo;

c) i provvedimenti con i quali la commissione elettorale mandamentale o le sue sottocommissioni hanno provveduto a depennare dalle liste elettorali sezionali destinate alla votazione i nominativi dei cittadini che, nel primo giorno fissato per le elezioni, non avranno compiuto il 18º anno di età;

d) i provvedimenti di rettificazione delle liste generali, eseguiti dalla commissione elettorale comunale nel caso che le variazioni apportate alle liste stesse non siano rispondenti, per falsità od errore, agli elenchi approvati dalla commissione mandamentale, a norma del primo comma dell'articolo medesimo.

In tutti i casi sopra elencati è generalmente riconosciuto che oggetto della giurisdizione della Corte d'appello è un diritto soggettivo del cittadino e che, quindi, il ricorso può lamentare, oltre che la iscrizione o la mancata iscrizione nelle liste, la iscrizione con generalità inesatte o che comunque pregiudichi il concreto esercizio del diritto di voto.

Per quanto riguarda le decisioni emesse dalla commissione elettorale mandamentale, sui reclami concernenti la ripartizione del comune in sezioni elettorali, la determinazione della circoscrizione e del luogo di riunione di ciascuna di esse, nonché l'assegnazione degli iscritti alle singole sezioni, la prevalente giurisprudenza ha negato la giurisdizione della Corte d'appello ed affermato quella degli organi di giustizia amministrativa, nella considerazione che la materia ha per oggetto esclusivamente interessi legittimi e che il t.u. n.223 non contiene alcuna deroga ai principi sulla ripartizione della giurisdizione contenuti nella legge 20 marzo 1865, n.2248.

Soggetti del ricorso alla Corte d'appello

Il ricorso alla Corte d'appello costituisce uno dei casi di esercizio dell'azione popolare a carattere correttivo: è esperibile, quindi, da tutti i cittadini e non solo da quelli direttamente interessati al provvedimento.

Non sono, peraltro, legittimati a ricorrere le persone giuridiche e gli organi amministrativi ai quali la legge non riconosca espressamente tale facoltà. Quindi i partiti politici, i comuni e la commissione elettorale comunale non possono ricorrere; hanno, tuttavia, la facoltà di sollecitare, con denunzia, l'azione del pubblico ministero.

Infine i ricorsi di cui trattasi possono essere proposti dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente per territorio; quindi il pubblico ministero, in tali cause, deve intervenire, a pena di nullità rilevabile d'ufficio.

Il procuratore della Repubblica, inoltre, qualora riscontri nel fatto che ha dato origine al ricorso estremi di reato, promuove l'azione penale.

Procedimento del ricorso alla Corte d'appello - I termini

Il ricorso, redatto in carta libera, deve essere sottoscritto dal cittadino ricorrente o dal suo procuratore, il cui ministero è facoltativo.

Nel ricorso devono essere indicati con sufficiente chiarezza l'organo adito, il provvedimento che si impugna, le generalità delle parti interessate, i motivi di impugnazione nonché l'oggetto della domanda.

Sull'atto stesso il Presidente della Corte d'appello fissa, con decreto, l'udienza di discussione della causa in via d'urgenza.

Il ricorso, col relativo decreto di fissazione di udienza emesso dal Presidente della Corte d'appello, deve essere notificato, a pena d'inammissibilità, al cittadino o ai cittadini interessati nonché agli organi che hanno emesso l'atto impugnato e cioè alla commissione o sottocommissione elettorale mandamentale ovvero, nel caso di cui al secondo comma dell'art. 42, alla commissione elettorale comunale.

La notifica deve essere fatta in forma giudiziale.

I termini per eseguire la notifica del ricorso sono diversi a seconda che il ricorrente sia il cittadino che aveva reclamato o aveva presentato alla commissione elettorale mandamentale una domanda di iscrizione o era stato dalla commissione medesima cancellato dalle liste, ovvero che il ricorrente o i ricorrenti siano altri cittadini, non direttamente interessati.

Nel primo caso il termine è di giorni 20 e decorre del giorno successivo a quello in cui il provvedimento è stato notificato; nel secondo caso il termine è di giorni 30 e decorre dal giorno successivo all'ultimo giorno di pubblicazione della lista rettificata.

I predetti termini, opportunamente, sono raddoppiati in favore dei cittadini residenti all'estero.

A norma dell'art. 43, il ricorso, con i relativi documenti, dev'essere, a pena di decadenza, depositato nella cancelleria della Corte d'appello entro dieci giorni dall'ultima notifica di esso, fatta ad un soggetto effettivamente legittimato a resistere.

Tale termine, per i cittadini residenti all'estero, è prolungato a 60 giorni.

Oggetto del deposito sono:

  • la copia del ricorso notificata alla controparte col relativo decreto di fissazione di udienza, e corredata dalla relazione di notifica;
  • gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda.

Discussione del ricorso alla Corte d'appello

Per la discussione del ricorso non è obbligatorio il ministero di un procuratore o di un avvocato.

Le parti possono intervenire e farsi sentire personalmente in udienza; la comparizione in udienza vale come costituzione in giudizio del resistente.

La Corte decide in camera di consiglio.

Tutti gli atti del giudizio sono redatti in carta libera e sono esenti dalla tassa di registro e dalle spese di cancelleria.

Notifica ed esecuzione delle sentenze della Corte d'appello

Le sentenze della Corte d'appello devono essere comunicate immediatamente, a cura della cancelleria, al presidente della commissione elettorale mandamentale, per gli adempimenti di competenza, nonché al sindaco, che ne cura l'esecuzione e la notificazione, senza spesa, agli interessati.

La notifica agli interessati va eseguita a mezzo di messo comunale.

Anche la esecuzione della sentenza, che si concreta nell'apportare le conseguenti variazioni alle liste elettorali, è demandata alla cura del sindaco: ciò nella considerazione che il dispositivo della sentenza stessa, per il valore intrinseco del giudicato, non può essere assoggettato ad ulteriore valutazione da parte della commissione elettorale comunale o della commissione elettorale mandamentale.

Pertanto, il sindaco, quale ufficiale di governo, con l'assistenza del segretario, provvede alla iscrizione del cittadino, cui la sentenza abbia riconosciuto la capacità elettorale, nella lista generale e nella lista della sezione nella cui circoscrizione lo stesso ha la propria abitazione, ed alla cancellazione delle liste stesse, qualora vi fosse iscritto, di colui

che la sentenza abbia escluso dal diritto di voto.

Di tali adempimenti è redatto verbale, da portare a conoscenza della commissione elettorale comunale nella prima seduta utile.

Ricorso alla Corte di Cassazione

La sentenza della Corte d'appello può essere impugnata, anche senza ministero di avvocato, con ricorso per cassazione soltanto dalla parte soccombente.

Sul semplice ricorso il presidente fissa, in via di urgenza, l'udienza per la discussione della causa.

Tutti gli atti relativi al ricorso sono redatti in carta libera e sono esenti dalla tassa di registro, dal deposito per il caso di soccombenza e dalle spese di cancelleria.

L'intero procedimento è disciplinato dalle norme del codice di procedura civile; i relativi termini, peraltro, sono ridotti alla metà, fatta eccezione per i ricorsi dei cittadini residenti all'estero.

Le decisioni della Corte di cassazione sono pubblicate immediatamente e sono comunicate dalla cancelleria oltreché dal presidente della commissione elettorale mandamentale, al sindaco, che ne cura la esecuzione e la notificazione, senza spese, agli interessati, analogamente a quanto prescritto per le sentenze della Corte d'appello.

Effetto non sospensivo dei ricorsi giudiziari

Si richiama, infine la particolare attenzione degli organi incaricati della tenuta e della revisione delle liste elettorali sulla norma secondo la quale la proposizione dei ricorsi alla Corte d'appello ed alla Corte di cassazione in materia di elettorato attivo non sospende la esecuzione dei provvedimenti o delle decisioni contro i quali sono proposti.

Tutela del diritto fondamentale dell'elettorato attivo

La tutela del diritto fondamentale di elettorato attivo deve essere esercitata dinanzi al giudice ordinario quale giudice naturale dei diritti fondamentali e, tra questi, dei diritti politici, e non ricade nell'ambito della giurisdizione amministrativa sul contenzioso elettorale, di cui agli artt. 126, 129 e 130 c.p.a. (Cons. St., Sez. III, 19 luglio 2019, n. 5102) Infatti, la giurisdizione che tali disposizioni assegnano al giudice amministrativo ha ad oggetto le sole “operazioni elettorali”, ossia la regolarità delle forme procedimentali di svolgimento delle elezioni, alle quali fanno capo nei singoli posizioni che hanno la consistenza dell'interesse legittimo, non del diritto soggettivo. E benché tali operazioni non si esauriscano nelle attività di votazione, ma si estendano al procedimento elettorale preparatorio e comprendano tutti gli atti del complesso procedimento, dall'emanazione dei comizi elettorali sino alla proclamazione degli eletti, resta tuttavia attribuita all'autorità giudiziaria ordinaria la cognizione delle controversie nelle quali si fanno valere posizioni di diritto soggettivo, quali quelle che si riconnettono al diritto di elettorato attivo (Cass. civ., S.U., ord., 20 ottobre 2016, n. 21262).

Il ricorso in ambito amministrativo

In tutti i casi per i quali non è contemplata una particolare forma di ricorso, è possibile il ricorso amministrativo o il ricorso amministrativo giurisdizionale

I ricorsi amministrativi possono essere rivolti allo stesso organo che ha emanato l'atto con il quale è stata lesa la situazione giuridica (opposizione), al suo superiore gerarchico (ricorso gerarchico) o ad altro organo.

Nel sistema italiano di giustizia amministrativa sono presenti sia i ricorsi amministrativi, sia la tutela giurisdizionale; l'ordinamento italiano ha adottato un peculiare criterio di ripartizione della giurisdizione, imperniato sulla natura della situazione giuridica soggettiva lesa: se è un diritto soggettivo sussiste la giurisdizione ordinaria, se invece è un interesse legittimo sussiste la giurisdizione amministrativa; questo criterio generale è peraltro integrato da quello basato sulla materia, nei casi di giurisdizione esclusiva (si tratta di eccezioni che, però, sono andate espandendosi nel corso degli anni).

I primi sono esperibili innanzi ad organi amministrativi non giurisdizionali e sono, di regola, il ricorso gerarchico proprio e il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; sono, invece, esperibili nei soli casi previsti dalla legge il ricorso in opposizione e il ricorso ad altri organi amministrativi (detto ricorso gerarchico improprio).

La tutela giurisdizionale

La tutela giurisdizionale è ripartita, ai sensi dell'articolo 113 Costituzione, fra gli organi di giurisdizione ordinaria e quelli di giurisdizione amministrativa, secondo il criterio della natura della situazione giuridica tutelata, di cui si è detto. Sono giudici amministrativi con competenza generale i tribunali amministrativi regionali (TAR) e il Consiglio di Stato.

Funzioni giurisdizionali amministrative con competenza per specifiche materie sono attribuite alla Corte dei conti, ai Tribunali Regionali delle acque pubbliche, al Tribunale Superiore delle acque pubbliche, ai tribunali militari, alla Corte militare di appello e alle commissioni tributarie provinciali e regionali, le quali ultime ovviamente non decidono solo su questioni di legittimità amministrativa, ma anche e soprattutto su diritti soggettivi, cioè su somme da versare o non versare alla pubblica amministrazione per tasse, imposte, tributi, interessi, sovratasse e penalità.

Al giudice amministrativo spetta la cognizione delle controversie riguardanti gli interessi legittimi. Inoltre, in particolari materie, espressamente indicate dalla legge, viene affidata alla giurisdizione amministrativa anche la tutela dei diritti soggettivi (art. 103, 1° co., Cost.).

Con le riforme della fine degli anni ‘90, è stato anche conferito al giudice amministrativo, nell’esercizio della propria giurisdizione (sia esclusiva sia di legittimità), il potere di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e degli altri diritti patrimoniali consequenziali, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica.

Differenze tra ricorsi amministrativi e giurisdizionali

Trovano applicazione per i ricorsi amministrativi molti principi dei ricorsi giurisdizionali, vi sono tuttavia delle differenze:

  • a differenza del ricorso giurisdizionale, nei ricorsi amministrativi non si richiede il patrocinio di un avvocato;
  • mentre il ricorso giurisdizionale è consentito solo per la tutela degli interessi legittimi (tranne per le materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), i ricorsi amministrativi possono proporsi a tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi;
  • la decisione sui ricorsi amministrativi ha natura di vero e proprio provvedimento amministrativo è come tale è impugnabile innanzi al giudice amministrativo.

Il ricorso amministrativo

Consiste in un’istanza diretta ad una pubblica amministrazione al fine di vedere tutelata la propria situazione giuridica soggettiva lesa da un provvedimento della P.A. senza l’intervento giurisdizionale. Il fine del ricorso è l’annullamento, la revoca o la riforma del provvedimento che si ritiene illegittimo e che ha determinato un assetto di interessi sul quale sia insorta una controversia tra autore e destinatario dell’atto o tra la P.A. e un soggetto terzo

Nel nostro ordinamento esistono 3 tipi di ricorsi amministrativi ordianri:

  • il ricorso gerarchico proprio
  • il ricorso gerarchico improprio
  • il ricorso in opposizione

ed il ricorso straordinario al Capo dello Stato.

La definitività di un atto è dirimente per stabilire se sia o meno esperibile un ricorso ordinario o straordinario: il provvedimento diventa definitivo dopo la decisione sul ricorso gerarchico o decorsi 90 giorni dalla proposizione del ricorso, anche se non vi è stata alcuna decisione. Inoltre un provvedimento può essere definitivo per legge, perché non vi è autorità superiore che possa sindacare il provvedimento e decorso il termine previsto per proporre ricorso. 

Possono presentare ricorso tutti i soggetti (persona fisiche o giuridiche) che abbiamo interesse e cioè tutti coloro che, ritenendosi lesi da un provvedimento della P.A., abbiano interesse all’annullamento di esso, a norma degli artt. 1 e 8 del D.P.R. 1199/1971. L’interesse deve essere personale, in quanto deve riferirsi al soggetto che propone il ricorso, caratteristica da non confondere con la individualità in quanto in alcuni casi è ammesso il ricorso per la tutela di interessi collettivi. L’interesse deve poi essere attuale, perché il ricorrente deve aver subito una lesione concreta e immediata in conseguenza del provvedimento oggetto del ricorso. Deve infine essere diretto perché non è legittimato a ricorrere un soggetto diverso dal titolare della situazione soggettiva coinvolta. 

Il termine per proporre ricorso è perentorio e comincia a decorrere dalla notifica dell’atto, o in mancanza, dalla data della sua pubblicazione. In tutti gli altri casi dal momento della piena conoscenza dell’atto. Per il ricorso gerarchico e in opposizione, il termine è di 30 giorni; è pari a 120 giorni per la proposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Il diritto a proporre ricorso si estingue per rinuncia dell’interessato, per decadenza o acquiescenza. 

Il ricorso gerarchico

Si tratta di un rimedio generale che permette di impugnare un provvedimento non definitivo dinanzi all’organo gerarchicamente sovraordinato a quello che ha emanato l’atto. Si possono far valere sia vizi di legittimità che vizi di merito, per la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi.

Ci sono due tipi di ricorsi gerarchici: quello proprio, che presuppone un rapporto di gerarchia in seno tecnico e cioè di subordinazione, e il ricorso improprio, che è un rimedio a carattere eccezionale e in cui non esiste realmente un rapporto gerarchico tra organo che ha emanato l’atto e l’organo che deciderà sul ricorso. Tale ricorso permette di far valere vizi di merito che non possono far valere, in linea generale, in sede giurisdizionale.

Una volta proposto il ricorso, la P.A. ha l’obbligo giuridico di decidere ma a norma dell’art. 6 del D.P.R. 1199/1971, “decorsi 90 giorni dalla presentazione del ricorso senza che la P.A. abbia comunicato all’interessato la decisione dello stesso,  il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso all'autorità giurisdizionale competente, o quello straordinario al Presidente della Repubblica”. 

Il ricorso in opposizione

Si tratta di un ricorso amministrativo atipico proposto al fine di tutelare un diritto soggettivo o un interesse legittimo sia per vizi di merito che per vizi di legittimità. A differenza del ricorso gerarchico, esso è proposto allo stesso organo che ha emanato il provvedimento che però non sia definitivo. I casi in cui può essere esperito questo rimedio giustiziale sono tassativamente previsti dalla legge, proprio perché si tratta di un rimedio eccezionale. Può essere proposto entro 30 giorni dalla notifica o emanazione dell’atto impugnato. 

Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica

È un rimedio giustiziale generale che permette di impugnare un atto amministrativo che presenta il carattere della definitività. 

Si propone al Presidente della Repubblica per far valere solo vizi di legittimità che abbiano leso diritti soggettivi o interessi legittimi. Caratteristica di questo ricorso è la relazione di alternatività con il ricorso giurisdizionale: è infatti inammissibile il ricorso giurisdizionale proposto dopo la proposizione del ricorso straordinario al P.d.R.

Allo stesso modo, l’atto impugnato con il rimedio giustiziale straordinario non è più impugnabile dinanzi al T.A.R. La sola eccezione riguarda il caso in cui il ricorso straordinario sia stato esperito avverso un provvedimento che abbia leso un diritto soggettivo: in questo caso il ricorrente potrà proporre il ricorso in sede giurisdizionale davanti al giudice ordinario.

Per tutelare i soggetti i cui interessi siano coinvolti è stato introdotto l’istituto della trasposizione del ricorso amministrativo straordinario in sede giurisdizionale. Il controinteressato invece di subire passivamente la scelta altrui, può decidere o di aderire alla scelta del ricorrente o di trasporre il ricorso amministrativo in sede giurisdizionale con un’opposizione notificata al ricorrente, entro 60 giorni dalla notifica del ricorso straordinario. 

Dal punto di vista procedurale entro il termine di 120 giorni dalla notificazione, pubblicazione o piena conoscenza dell’atto, il ricorso straordinario deve essere notificato, a pena di inammissibilità, ad almeno uno dei controinteressati e deve essere presentato all’autorità amministrativa che ha emanato l’atto impugnato o al Ministro competente per materia.

Dopo la proposizione del ricorso, il Ministro competente procede all’istruttoria, raccogliendo tutti gli elementi necessari alla valutazione del ricorso. Una volta conclusa l’istruttoria, il Ministro trasmette il ricorso al Consiglio di Stato e sulla base del parere di questo organo, il Ministro, che assume la responsabilità della decisione, formula la sua proposta di decreto al Presidente della Repubblica.

Se prima dei recenti interventi normativi il parere era semivincolante ed il Ministro poteva discostarsene solo sottoponendo la questione al Consiglio dei Ministri ed ottenendo una pronuncia su punto, ora ciò non è più possibile. Il ricorso straordinario sostanzialmente viene deciso dal Consiglio di Stato attesa la nuova natura vincolante del parere, tant'è che si è parlato in dottrina di “giurisdizionalizzazione” di tale rimedio. 

Nei confronti della decisione del Presidente della Repubblica è ammesso il rimedio della revocazione da proporre con le stesse forme del ricorso straordinario. 

Giurisdizione amministrativa

È evidente che la tutela giurisdizionale offre maggiori garanzie al soggetto leso rispetto ai ricorsi amministrativi, per la posizione di terzietà e di indipendenza dal potere esecutivo in cui si trova il giudice.

Gli organi

Sono organi della giustizia amministrativa, in primo grado, i tribunali amministrativi regionali (TAR) e, in secondo grado, il Consiglio di Stato (art. 100, 103, 1° co., e 125, 2° co., Cost.);

I tipi di giurisdizione amministrativa

La giurisdizione amministrativa si articola nelle forme della giurisdizione di legittimità, di merito ed esclusiva.

La giurisdizione di legittimità ha carattere generale e conferisce al giudice il potere di verificare se l’atto amministrativo sia lesivo di interessi legittimi per violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere (l. n. 241/1990, artt. 3 e 21 octies).

La L. n. 205/2000 ha introdotto alcune importanti novità, ampliando notevolmente i poteri del giudice con riferimento sia alla disponibilità dei mezzi di prova che alla capacità decisionale. In merito a quest’ultimo profilo, il giudice, oltre al potere di annullamento dell’atto lesivo di interessi legittimi, ha il potere di valutazione sulla risarcibilità del danno provocato dall’atto illegittimo della pubblica amministrazione e può, inoltre, condannare l’amministrazione a un obbligo di reintegrazione in forma specifica. Nuovi e rilevanti poteri sono stati conferiti anche dall’art. 34 del codice del processo che prevede il potere del giudice di condannare l’amministrazione all’adozione di tutte le misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio.

La giurisdizione di merito, invece, permette al giudice amministrativo di effettuare una valutazione sull’opportunità o la convenienza dell’atto amministrativo in relazione all’interesse pubblico che deve essere perseguito, attribuendogli ampi poteri di cognizione, di istruzione e di decisione, fino all’eventuale annullamento, riforma o sostituzione dell’atto. Tale forma di giurisdizione ha, però, carattere eccezionale, in quanto può essere esercitata solo nei casi tassativamente previsti dalla legge (art. 134 c.p.a.)

Termini e tempi

Nel processo amministrativo, come qualsiasi processo, sono previsti diversi termini inerenti alle varie fasi. Esistono quindi diversi termini tra cui il più importante è senz'altro quello per ricorrere. Anche nel processo amministrativo il termine per ricorrere ha la funzione di assicurare la stabilità dei rapporti giuridici.

Occorre tenere in considerazione che nel processo amministrativo possono essere coinvolti sia diritti soggettivi che interessi legittimi per cui il termine per ricorrere è diverso nei due casi, rispettivamente di prescrizione e di decadenza, con differenze temporali notevoli: il termine di prescrizione è infatti da 5 a 10 anni mentre quello decadenziale è di soli 60 g.g.

Il termine per ricorrere può decorrere da una serie di fenomeni:

  • -Dalla conoscenza del provvedimento. La giurisprudenza fa riferimento al concetto di "conoscenza...della portata lesiva" intendendo con questo che non è necessaria una conoscenza completa del provvedimento. Si deve trattare inoltre di una conoscenza ufficiale e formale proveniente dalla stessa pubblica amministrazione e non ad esempio da fonti quali i mezzi di comunicazione di massa.
  • Dalla comunicazione o notificazione del provvedimento. Atti che devono essere svolti da personale e con procedure particolari disciplinate da norma giuridiche. Un esempio è la notificazione dell'ufficiale giudiziario.
  • Dalla pubblicazione. Riguarda gli atti a contenuto generale per i quali ovviamente non è prevista la notificazione. Normalmente si tratta dell'affissione all'albo dell'ente oppure della pubblicazione su raccolte ufficiali.

Nel caso di diritti soggettivi nel termine di 10 anni.

Altri termini di cui abbiamo parlato o si parlerà dopo sono:

  • Deposito: 30 giorni dopo l'ultima notifica
  • Costituzione in giudizio: 20 giorni dopo la scadenza del termine per il deposito
  • Comunicazione del decreto di fissazione dell'udienza: almeno 40 g.g. prima della data d'udienza
  • Presentazione di documenti: fino a 20 giorni prima dell'udienza
  • Presentazione di memorie: fino a 10 giorni prima dell'udienza

Tutela del cittadino in materia di Privacy

L’organo preposto al controllo relativo alla corretta applicazione della normativa in materia di privacy, è il Garante per la protezione dei dati personali, autorità amministrativa collegiale ed indipendente, i cui membri sono nominati dal Parlamento e che opera un controllo preventivo e successivo sulle attività di trattamento di dati personali svolte in Italia.

Il Garante, che opera autonomamente dal Governo, ha poteri istruttori, consultivi e sanzionatori, e costituisce il primo grado per il ricorso amministrativo contro eventuali violazioni della normativa. Eventuali decisioni del Garante, assunte in contraddittorio con le parti in causa, sono impugnabili dinanzi alla magistratura.

Il Garante istituisce e mantiene il registro dei trattamenti per la pubblica consultazione, controlla se i trattamenti sono effettuati a norma di legge, segnala le modifiche da apportare ai trattamenti, riceve i reclami degli interessati, denuncia i reati perseguibili d’ufficio di cui viene a conoscenza, vieta i trattamenti illeciti o ne dispone il blocco, in via provvisoria, segnala al Parlamento l’opportunità di modifiche normative, esprime pareri in materia di privacy. È importante tenere presente che il compito del Garante non è tanto autorizzare i trattamenti, quanto piuttosto controllarne la liceità.

Il Garante può chiedere al responsabile e al titolare del trattamento, all’interessato o anche a terzi, informazioni e documentazione, può disporre accessi alle banche dati e ispezioni nei luoghi dove si svolge il trattamento. Per esercitare i suoi poteri si può avvalere della collaborazione di altri organi dello Stato. Ha inoltre il potere di integrare la normativa in materia di riservatezza, quasi avesse una funzione legislativa, come previsto dall’art. 24 lettera G, che da la facoltà al Garante di individuare casi nei quali si esclude la necessità del consenso al trattamento, o le misure a garanzia dell’interessato.

Infine, il Garante irroga direttamente le sanzioni previste dal Codice per la privacy, sia amministrative che penali. L’art. 15 del Codice prevede l’obbligo di risarcire i danni derivanti dall’illecito trattamento. Il richiamo all’art. 2050 c.c. fa sì che dovrà essere il titolare a dimostrare, in caso di danno, di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno stesso, e non solo le misure minime previste dalla legge.

In sostanza si considera il trattamento dei dati personali come un’attività pericolosa, elevando così il livello di responsabilità, per cui il risarcimento spetterà per il solo fatto di aver subito un danno, a prescindere dalla volontarietà del comportamento illecito. Per andare esente da responsabilità il titolare del trattamento dovrà, quindi, dimostrare che il danno si è verificato per caso fortuito o forza maggiore.

Gli illeciti amministrativi riguardano l’omessa o inidonea informativa all’interessato, la cessione dei dati in violazione delle norme, l’omessa o incompleta notificazione, l’omessa informazione o esibizione di documenti richiesti al Garante.

Gli illeciti penali sono previsti dagli articoli da 167 a 172 del codice. All’art. 167 abbiamo il trattamento illecito di dati personali, cioè il trattamento effettuato non rispettando le disposizioni del codice (trattamento illecito).

La consumazione del reato avviene non con il mero trattamento non conforme alle norme, bensì al verificarsi del danno, per cui il nocumento alla persona offesa è elemento costitutivo del fatto.
L’art. 169 prevede l’omessa adozione di misure necessarie alla sicurezza dei dati, contravvenzione che prevede anche la possibilità di regolarizzare il trattamento nel termine di sei mesi, nel qual caso l’ammenda è diminuita.

L’art. 170 punisce l’inosservanza dei provvedimento del Garante, l’articolo 168 punisce la falsità nelle dichiarazioni e nelle notificazioni al Garante.

Garante per la protezione dei dati personali Piazza di Monte Citorio n. 121 - 00186 Roma, www.gpdp.it - www.garanteprivacy.it, E-mail: garante@gpdp.it, Fax: 06.69677.3785, telefono: 06.69677.1

Le circolari ministeriali in materia di stato civile

La circolare ministeriale è un atto meramente interno alla pubblica amministrazione che esprime un parere dell'Amministrazione medesima, e ne esclude l'efficacia vincolante nei confronti dei destinatari, pertanto la circolare non vincola gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato disattenderla, senza per questo il provvedimento adottato possa essere ritenuto illegittimo.

Cosa diversa avviene in materia di stato civile, in quanto, a norma di quanto previsto dall'art.9, comma 1, del d.P.R. n.396/2000, l'ufficiale dello stato civile "è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell'Interno".

Ne consegue che le circolari del Ministero dell'Interno sono vincolanti per l'ufficiale di stato civile (vedi anche la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n.5532 del 26/09/2018) e, quindi, anche nei confronti del Sindaco che, nella sua veste di ufficiale di stato civile, è posto in posizione di subordinazione rispetto al Ministero dell’Interno.

Tale circostanza comporta che le decisioni dell’ufficiale dello stato civile prese sulla base delle istruzioni ministeriali, possano essere immediatamente impugnabili.

Allegati

Trasparenza

Silenzio assenso/Dichiarazione dell'interessato sostitutiva del provvedimento finale
No

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